Ti amo per espresso … fermo posta

(GDB) Nel XVIII secolo, a seguito del notevole sviluppo economico e sociale verificatosi in Europa, crebbe in modo esponenziale l’utilizzo del servizio postale da parte dell’utenza privata e commerciale.

Nei primi modelli organizzativi dei servizi postali prestati ai soggetti di diritto privato, non era prevista la distribuzione a domicilio della corrispondenza che veniva ritirata a cura dei destinatari presso gli Uffici postali o punti prestabiliti in luoghi pubblici, centrali e di grande traffico, come piazze, mercati o porti. Per questi motivi, sulle lettere viaggiate fino a metà Ottocento, ritroviamo spesso solo il nome del destinatario e la città di residenza, senza altra indicazione di indirizzo. 

Possiamo quindi affermare che in origine tutte le missive “private”, o come si diceva, dei “particolari”, erano tecnicamente “ferme in posta” poiché al materiale ritiro in arrivo doveva provvedere personalmente il destinatario o un suo delegato.

In Europa questa prassi inizia a scomparire nei primi decenni dell’Ottocento: prima nei grandi centri urbani e poi via via in tutta la rete postale, a fronte dell’organizzazione da parte delle Amministrazioni Postali di un servizio di recapito a domicilio, eseguito per mezzo di portalettere, sempre più capillare, accurato ed affidabile. 

Il primo regolamento postale “italiano”, adottato nel febbraio del 1861, e poi applicato in tutte le Province del Regno d’Italia, all’art. 158 stabiliva che trascorsi inutilmente dieci giorni di giacenza in Ufficio, senza che venisse ritirata la posta priva di indicazione del domicilio “… è dovere dei Portalettere di adoperarsi con tutti i mezzi possibili per conoscere il domicilio dei destinatari delle lettere da distribuirsi, nonché i nuovi abitanti delle case che si trovano nel loro giro”. Con l’unificazione dell’Amministrazione postale, seguita alla proclamazione del Regno d’Italia, inizia quindi a delinearsi il nuovo servizio di consegna a domicilio.

Divenuta prassi ordinaria la consegna a domicilio, il ritiro delle corrispondenze presso gli uffici postali, ovvero il servizio di fermo posta, rappresentava un’eccezione che venne ufficialmente prevista e regolamentata nella riforma del 1863. Il servizio veniva prestato gratuitamente e bastava richiederlo scrivendo sul fronte della lettera la dicitura “Ferma in posta” o similari, come “Fermo posta” o l’abbreviazione “FP” o ancora il francesismo “Posta restante”.

Il “nuovo” servizio di fermo posta, nazionale ed internazionale, venne sempre più utilizzato dagli agenti di commercio, dai viaggiatori, dai lavoratori itineranti o imbarcati, ma anche da chi desiderava mantenere segreto un rapporto personale o epistolare. Il suo utilizzo cresceva velocemente e di pari passo con l’esponenziale sviluppo delle comunicazioni postali registrato nella seconda metà dell’Ottocento.

Il servizio poteva essere richiesto per tutte le corrispondenze ordinarie, tranne le  assicurate, per le stampe e per i giornali non spediti dall’editore e per i pacchi postali, esclusi quelli con valore dichiarato.

Il fermo posta veniva talvolta applicato “d’ufficio” in caso di assenza del destinatario, ovvero a corrispondenze giacenti per diversi motivi logistici ed in attesa di disposizioni del mittente o del destinatario. Ugualmente veniva applicato in caso di giacenza di raccomandate il cui recapito a domicilio fosse andato due volte a vuoto. Veniva attivato anche nel caso di indicazioni del mittente, evidenziate sul fronte della lettera, del tipo “Ferma in stazione” o “Momentaneamente a ….”  o ancora per i militari “Di stanza a …” etc. Va comunque evidenziato che il Regolamento postale venne interpretato in modo differenziato e di conseguenza l’applicazione pratica del fermo posta d’ufficio, fu alquanto diversificata.

A causa dell’impegno di uomini e mezzi che l’espletamento del servizio comportava, e ancor più per far fronte alle spese della grande guerra, come si legge nella motivazione del provvedimento, nel 1915 in Italia venne introdotta una tassa per il servizio di fermo posta.

Il pagamento dava diritto alla giacenza delle missive presso l’ufficio indicato dal mittente per 30 giorni. In caso di mancato ritiro, le lettere sarebbero state restituite al mittente (se conosciuto) che avrebbe corrisposto la tassa eventualmente applicata: nel caso in cui il mittente fosse rimasto sconosciuto, sarebbe stata applicata la procedura di invio della “corrispondenza inesitata” alla Direzione di competenza per la definitiva distruzione.

Venne inoltre previsto sia il pagamento in partenza del diritto di fermo posta, che quello in arrivo con una maggiorazione del costo, che serviva a coprire il rischio di non ritiro dell’oggetto postale.

Nel primo caso il mittente anticipava il pagamento del servizio applicando sulla missiva francobolli ordinari per l’importo corrispondente.

 

Nel secondo caso la tassa veniva corrisposta dal destinatario al momento del ritiro allo sportello e l’importo pagato era rappresentato con segnatasse applicati sulla stessa missiva.

Era inoltre possibile che il servizio di fermo posta fosse richiesto direttamente dal destinatario per motivi contingenti, come per esempio in caso di temporanea assenza.

Anche per le lettere provenienti dall’estero era possibile richiedere il servizio di fermo posta a destino, ma non era previsto il pagamento in partenza poiché questa eventualità non era stata prevista negli accordi di reciprocità dell’Unione postale universale (UPU).

Pur in contrasto con le norme regolamentari, che prevedevano la separata tassazione di ogni singola missiva ferma in posta, avveniva nella pratica che al momento del ritiro, la tassazione per il fermo posta di più lettere indirizzate allo stesso soggetto, venisse eseguita con l’applicazione di segnatasse, corrispondenti a più tassazioni, sulla stessa lettera. In alcuni casi vennero anche cumulate tasse per il fermo posta e tasse di altra natura ovvero per insufficiente affrancatura ordinaria in partenza. 

L’amore … fermo posta

Oltre che per esigenze di carattere logistico, contingente e commerciale, spesso il servizio di fermo posta è stato utilizzato dagli … innamorati “contrastati” che volevano o “dovevano” mantenere segreto il loro rapporto.

Infatti, fino a qualche decennio or sono, accadeva che le famiglie fossero contrarie al fidanzamento dei figli con una determinata persona che non si riteneva “idonea” alla bisogna per motivi di carattere personale o, più spesso, a causa dell’appartenenza ad altra “classe sociale” ovvero per disuguaglianze economiche.

In alcuni casi gli innamorati osteggiati dalle famiglie, trovavano un potente ed efficace alleato nel fermo posta. Infatti l’utilizzo di questo servizio impediva che la corrispondenza venisse intercettata dai familiari perché il destinatario andava di persona a ritirarla, direi nascostamente, presso l’ufficio postale. Dunque il servizio di fermo posta assumeva un inatteso ruolo ”sociale”, quello di complice degli innamorati e di … paraninfo.

Tra le tante carte archiviate ed in attesa di essere “rianimate”, è riaffiorata di recente una cospicua corrispondenza, che consta di oltre duecento lettere, tra due innamorati ed ho ritenuto che la loro storia “sentimentale e …postale”, fosse meritevole di essere raccontata.

La vicenda si sviluppa tra il 1945 ed il 1947: il protagonista maschile è Raimondo, un Tenente medico dell’esercito italiano di stanza a Macomer (NU). La promessa sposa è Irene, una giovane maestrina di Gonnostramatza (OR). 

All’interno delle buste affrancate, ho ritrovato anche alcune lettere e così ho ricostruito questa piccola grande storia d’amore e di posta. Il punto di partenza è una lettera di Irene datata 16.2.1945:

Raimondo Caro,

Ieri è successo il finimondo, la tua lettera è stata consegnata da Giovanniccu (il postino del paese ndr) a Babbo. Loro pensavano che tra noi fosse tutto finito e mi sono presa uno schiaffo e poi sono rimasta tutto il giorno chiusa in camera piangendo. Ma non mi importa nulla, io ti penso sempre, anzi non penso ad altro e non riusciranno mai ad allontanarmi da te.

Non mandarmi più lettere, anche se questo significherà per me una grande sofferenza. Vuol dire che ci vedremo da zia Teresa quando verrai in paese per la SS. Pasqua. A presto.      Irene

Un amore osteggiato, forse per motivi personali o “politici”, ed un rapporto epistolare impossibile se non fisicamente pericoloso, ma ecco l’intervento risolutivo del fermo posta delineato nella determinata risposta dell’ardente ed ardito innamorato:

Mia amatissima,

Sono addolorato per quanto accaduto. A Pasqua tornerò a parlare con i tuoi genitori insieme a mamma e vedrai che li convincerò, anche perché la guerra finirà presto ed io tra poco avrò una promozione. Se non accetteranno sai quello che voglio fare.

Ho servito l’Italia, il Duce ed il fascismo, ho combattuto in Spagna coi Franchisti e poi in Affrica. Non ho mai arretrato davanti al nemico e più volte ho visto la morte in faccia, sofferto la fame e la sete: insieme ai miei camerati ho bevuto le urine dei cammelli e l’acqua dei radiatori. Ho operato feriti gravi con il coltello ed ho visto ferite di cui non riesco neanche a parlare.

Ho creduto, obbedito e combattuto. Ora il fascismo è caduto e il suolo della Patria calpestato dagli stranieri. Non so cosa ci riserba il domani ma il nostro futuro è insieme: ora non temo null’altro che perdere te, mio unico bene.

Per quanto alle lettere, questa presente te la porterà di nascosto mia sorella Annina alla Messa di domenica. Ma da lunedì in avanti vai tu, senza farti vedere da babbo, all’Ufficio postale e lì troverai ogni giorno, ferma in posta, una mia lettera e così di seguito faremo. Ti scriverò ogni giorno per espresso. Tu puoi continuare a scrivermi per espresso al solito indirizzo qui a Macomer. In questa mia trovi allegati i francobolli per affrancare diverse lettere e poi te ne manderò altri.

Tuo Raimondo                                                            Macomer 18 febbraio 1945

Il nuovo sistema di comunicazione funzionò bene come testimoniano le tante lettere per espresso scambiate, dalle cui date ricaviamo che effettivamente Raimondo scriveva ogni giorno, e sempre per espresso ad Irene, avendo cura di specificare “Fermo posta – personale” forse per timore che le sue lettere venissero comunque consegnate ad altri! 

Anche Irene scriveva ogni giorno per espresso al suo innamorato che la riforniva costantemente e copiosamente di francobolli.

In merito alle affrancature, si evidenzia che Raimondo deteneva ordinariamente una notevole quantità e varietà di valori. Per questi motivi si riscontrano affrancature con più valori gemelli. Pur non essendo un filatelista, Raimondo applicava i francobolli in modo ordinato e talvolta molto decorativo, quasi a voler imitare una “valentina” da offrire alla sua amata. 

Quello tra Irene e Raimondo fu certamente un grande amore e la passione, lo sappiamo, spesso riesce ad oscurare anche la ragione e l’evidenza, perfino quella … postale. E così Raimondo “sprecava” quotidianamente il suo denaro poiché la sopratassa pagata per il recapito espresso, nel caso illustrato cinque Lire, non dava effettivi vantaggi alle sue lettere. Infatti gli espressi viaggiavano insieme alla normale corrispondenza ordinaria, seppur distinti, e solo all’arrivo si avvantaggiavano sulle altre missive perché il loro recapito al domicilio veniva subito affidato ai portalettere o ai fattorini del servizio telegrafico.

La problematica era nota ai vertici dell’Amministrazione postale che per porre rimedio a questa discrasia, nel 1922 modificò il regolamento di esercizio, stabilendo che il servizio espresso non poteva essere accettato congiuntamente al fermo posta perchè impossibile da eseguire.

Nonostante la chiarezza della disposizione, questi due “incompatibili” servizi venivano talvolta richiesti in modo associato da qualche utente, verosimilmente non a conoscenza del modo in cui si espletava il servizio degli espressi.

Ma la circolazione di queste anomale missive, non poteva di fatto essere impedita poiché le lettere per espresso non dovevano essere necessariamente consegnate allo sportello, ma spesso venivano introdotte, già affrancate, nelle buche. Di fatto quindi non vi era una “accettazione“ presso lo sportello, circostanza che impediva al servizio postale di avvisare l’utente della inutilità del pagamento del servizio espresso e quindi di rifiutare la missiva. Per questi motivi la stessa disposizione sopra citata escludeva che gli espressi eventualmente indirizzati fermo posta, pagassero la tassa prevista sia in partenza che in arrivo.

Di questa disposizione verosimilmente era al corrente il protagonista della nostra storia che infatti, sempre ben fornito dei francobolli “disponibili” in Sardegna in quel complesso momento storico e postale, applicava accuratamente l’affrancatura ordinaria e quella per l’espresso, ma non quella per il fermo posta la cui tassa, a norma di Regolamento, non venne mai applicata neanche in arrivo.

Forse era anche cosciente della poca utilità dell’espresso … ma l’amore si sa a volte rende irragionevoli ed il nostro spasimante forse confidava in un “trattamento di favore”: probabilmente sperava che giunti a destinazione, i suoi espressi sarebbero stati, in quanto tali, resi subito disponibili allo sportello del fermo posta.

Ma vi è di più. Dalle corrispondenze esaminate si è evidenziato che l’ufficiale postale di Macomer, addetto alla bollatura ed inoltro delle corrispondenze, a far data dal marzo del 1946, iniziò a non bollare in partenza gli espressi di Raimondo o a sbarrare a penna i francobolli.

Difficile stabilire il motivo di questo comportamento, ma è ipotizzabile che l’ufficiale postale temesse, vista la quotidianità dell’invio, di essere “accusato” di una irregolarità per aver “accettato” un oggetto postale non conforme per l’incompatibilità dei due servizi richiesti. Infatti verosimilmente, al fine di accelerarne la partenza, Armando consegnava gli espressi direttamente presso l’ufficio postale, ritirando contemporaneamente la posta in arrivo, e forse dopo tanti avvertimenti, l’ufficiale postale decise di non bollare i francobolli, pur non potendo rifiutarsi di accettare ed inoltrare la corrispondenza.

Ma queste reiterate irregolarità e la mancata bollatura, non sfuggirono al Verificatore postale, che nell’ambito dei controlli effettuati, appose sui francobolli il suo sigillo “VERIFICATO” poiché in ogni caso i francobolli andavano annullati.

Questa la umanissima vicenda di Irene e Raimondo che, vista la tenacia e la determinazione dimostrata, sia sentimentale che postale, sono certo hanno coronato il loro sogno d’amore … con l’aiuto determinante del fermo posta.

“Evolutosi” il costume, negli anni 70’ e  80’ del Novecento, il servizio di fermo posta è stato massicciamente utilizzato, specialmente per corrispondenze alquanto “piccanti” scambiate a seguito di annunci anonimi, in genere per questioni attinenti ad incontri personali e sessuali più o meno trasgressivi: “Scrivere fermo posta centrale” oppure “Casella postale 343, rispondo a tutti” ect.

Ricordo di aver visto nel 1983, presso una cartiera, un paio di metri cubi di tali corrispondenze anonime inviate fermo posta: si trattava di quelle “scartate” ed inviate al macero perché non ritirate, o indirizzate a casella non più esistente, in una sola Provincia, e questo da la misura della enorme quantità di lettere di tal genere che intasavano gli sportelli del fermo posta e le caselle postali.

Oggi anche la trasgressione ha perso il tratto romantico del viaggio postale e quello materiale della carta manoscritta ed ha cambiato mezzo: viaggia eterea nel web e sui cellulari. Ma la storia delle comunicazioni postali “scritte” e viaggiate nello spazio materiale dell’uomo, rimane affascinante e conserva intatto tutto il suo significato storico, sociale ed umano.

Ott 5, 2018 | Posted by in Articoli | Commenti disabilitati su Ti amo per espresso … fermo posta
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