La posta tra cronaca, storia e società 

(di Lorenzo Carra) Leggo che nel 2010 è stato casualmente ritrovato tra i ghiacci del versante francese del Monte Bianco, un pacchetto di corrispondenza trasportato da un aereo indiano precipitato il 3 novembre 1950. Si trattava del volo Air India 245 proveniente da Bombay e diretto a Londra via Ginevra, operato dal Lockheed L-749 Constellation denominato Malabar Princess. Nell’incidente perirono tutte le 48 persone a bordo.

Il ritrovamento non mi ha sorpreso, ma molto incuriosito: certi rinvenimenti, seppur dovuti a casi fortunati, sono relativamente frequenti.

Anche a me, anche a voi, potrebbe capitare di trovare lettere vecchie o antiche.

Certo non troverete le tavolette sumere di 3/4.000 anni fa o papiri egizi (che di solito non venivano spediti) o tavolette romane (che essendo di cera non possono essere ritrovate integre).  Queste cose, e tante altre, le potete ammirare a Torino, nell’Archivio Storico Bolaffi della Filografia e delle Comunicazioni.

Come molto difficilmente potrete trovare corrispondenza anteriore al 1300 quando, dalla Sicilia, la carta, a poco a poco, si diffuse in Italia. Tante, interessanti lettere del 1200 e 1300 le potrete esaminare all’Istituto di studi storici postali di Prato.

Poi, dalla seconda metà del 1400, troverete, raramente in qualche mercatino, più che altro in aste specializzate, le lettere dei mercanti.  E, se pensate ai secoli che hanno ed a tutte le traversie che hanno dovuto subire, vedrete che saranno in condizioni di conservazione che vi stupiranno, anche quelle arrivate da lontani paesi.

E, prima osservandole, poi tenendole delicatamente in mano, tra le dita come fossero farfalle, vi renderete conto che la loro fragilità è solo apparente: la carta di allora era molto robusta, fatta a mano, foglio per foglio, e con materiali (il più delle volte stracci) di buona qualità.

Aprendo il foglio sentirete che “parla”, quasi “canta”, e sarete presi dalla curiosità, dal desiderio, dalla voglia di leggere cosa vi è scritto. Esercizio molto difficile, non sempre possibile, ma affascinante. Provate! 

E se non ci riuscirete neanche con l’aiuto di qualche amico o conoscente che si è lasciato contagiare da questa passione, provate a rivolgervi a qualche impiegato dell’Archivio di Stato, che ha sedi nelle principali città italiane.

Scoprirete un mondo affascinante e, poco a poco, potrete immaginare e capire come veramente si viveva secoli fa. Troverete qualcosa di diverso da quello che potete leggere nei libri. Entrerete direttamente in quel mondo, quasi come se foste presenti. Non pensate però di trovare quelli che oggi sarebbero i contadini, gli operai, gli impiegati, i piccoli artigiani, le casalinghe. Chi allora sapeva leggere e scrivere erano solo i regnanti, i signori, i loro scrivani, i grandi commercianti, le poche persone di cultura.

Non troverete quasi nessuna lettera scritta o indirizzata a donne. Allora quelle giovani erano “angelicate”, poi servivano a far figli (meglio maschi), alle faccende domestiche, a fare piccoli lavori manuali o spaccarsi la schiena nei campi. Sono poche le eccezioni, come quelle di Matilde di Canossa o di Isabella d’Este, che sono passate alla storia. Ma queste lettere come viaggiavano?

Beh! Capirete che non era cosa facile ed ora non è neppure semplice spiegarlo. Abituati come siamo a video cellulari, satellitari, televisioni, computer, aerei, treni, auto … con l’uomo che da più di quarant’anni ha messo piede sulla luna… la risposta che mi pare più semplice, certo più spontanea, è dirvi che allora le lettere, quando c’erano, viaggiavano…a piedi!

Ho scritto “quando c’erano” perché, con ogni probabilità, tanti annunci, come quello di Maratona,  furono solo verbali, come tante delle notizie portate dai vari ambasciatori o messi. Il più delle volte chi portava il messaggio (anche in forma di lettera) era persona appositamente, dico meglio, “espressamente” incaricata dal signore che aveva importanti notizie da comunicare.  Per questo era disposto a pagare anche una notevole somma di denaro.

Più spesso, quando non vi era particolare urgenza o necessità (o anche perché non vi era altra possibilità) si sfruttava l’occasione: un viaggiatore di passaggio, un pellegrino, un uomo di Chiesa, un raro studente, un mercante che, magari, aveva a disposizione solo un asino od un mulo.

Il cavallo, la carrozza, vennero dopo. L’uomo a piedi era preferito: la mancanza di strade, l’attraversamento dei fiumi (spesso solo a guado o con piccole barche), i percorsi di montagna, impedivano l’uso di cavalcature e poi, non vi sembri assurdo, l’uomo, anche se meno veloce (in pianura e su tratti brevi) è più resistente del cavallo e riusciva a compiere anche 30/40 km al giorno contro la metà di un quattrozampe al galoppo.

Allora chi portava le lettere era scelto fra persone forti e resistenti, avvezze alla fatica, sveglie, abili, sprezzanti dei pericoli e pronte a districarsi anche nelle situazioni più complicate. I messi, i corrieri migliori venivano da una valle bergamasca dove la vita era molto dura e difficile: la val Brembana ed appartenevano alla famiglia dei Tasso.

I Tasso prima si misero a disposizione dei signori locali, poi di quelli della Lombardia e del Veneto, poi del papa e dell’imperatore. La loro storia, le loro case, qualcuna delle loro lettere le potete trovare nel piccolo borgo-museo di Cornello dei Tasso. Visitatelo! Ne rimarrete affascinati … Furono i Tasso che crearono la Posta ed impiantarono un servizio postale in Europa. 

Questo senza dimenticare quanto si verificò in Cina, in Giappone, in India … ma questi, allora, erano mondi diversi, che non si conoscevano e non avevano rapporti con l’Europa. La globalizzazione sarebbe arrivata solo dopo qualche secolo!

Una data importante è, in questo senso, il 1574: da allora il servizio postale non fu solo riservato al papa, all’imperatore, ai principi ed alle loro corti, ma messo anche a disposizione del pubblico. Naturalmente a scrivere ed a ricevere lettere erano sempre in pochi ma, col Rinascimento, le migliori condizioni di vita, lo sviluppo della navigazione e dei commerci (vi ricordo il grande impulso che diede la “scoperta” dell’America), la possibilità di maggiori spostamenti delle persone, portarono anche a migliorare i contatti ed ad incrementare di molto gli scambi postali.

Dopo l’“invenzione postale” dei Tasso ci fu con Napoleone Bonaparte una nuova e più moderna impostazione dei servizi postali.  Con l’avvento della macchina a vapore, del treno per terra e col superamento delle vele sul mare, gli scambi postali registrarono un aumento esponenziale. Si ebbe la possibilità di scambi più ravvicinati, anche perché, con la drastica riduzione dei tempi di percorrenza, si potevano accorciare di molto i tempi di risposta. Statisticamente sono infatti molte meno le lettere che si possono trovare tra il 1770 ed il 1830 rispetto a quelle del periodo anche immediatamente successivo.

Dal punto di vista collezionistico od anche dalla semplice curiosità che possono suscitare le lettere, se dal 1400 al 1600 ci si deve accontentare (ma è un periodo affascinante e dà grande piacere!) dei vari segni, delle scritte, dei sigilli presenti sulle lettere, è dal 1661 che compaiono i primi timbri a carattere postale. Sono i Bishop marks inglesi che vengono impressi al retro delle lettere per segnalarne la data di arrivo.

Col sempre maggior utilizzo della posta anche da parte dei privati, sorse poi la necessità di evidenziare anche quanto era stato pagato o era da pagare per una certa lettera. Ecco quindi quelle cifre, spesso poco comprensibili, che troviamo davanti, ma anche al retro delle lettere.

Nel 1840 in Inghilterra, compaiono i primi francobolli: servivano per pagare anticipatamente l’invio di una lettera. Una soluzione semplice, pratica, economica e valida (alla quale era unita una riforma postale) che ebbe presto rapida diffusione in tutto il mondo. 

Fra quelli che allora scrivevano o ricevevano lettere (e che sapevano leggere e scrivere) e che, in una società spesso autarchica, avevano necessità o possibilità di comunicare, quei bollini colorati attrassero la curiosità di tanti.

Quei rettangolini di carta con il ritratto del sovrano o lo stemma di una nobile casata iniziarono ben presto ad essere raccolti e nacque quella che fu chiamata “filatelia”. Iniziarono i ceti più elevati, poi addirittura anche qualche regnante, tanto che questa forma di raccolta fu da qualcuno chiamata anche “la collezione dei re”.

Per attrazione, per imitazione, per moda, per il piacere della ricerca e della scoperta e perché no, anche per motivi economici (i francobolli potevano anche avere un valore, alcuni rappresentavano perfino un piccolo tesoro!) questa raccolta divenne in breve tempo la più diffusa al mondo. Questo fin verso la fine del millennio scorso.

Ora le lettere sono state in gran parte sostituite dalle email, le cartoline illustrate da sms e foto col cellulare e ognuno di noi, in media, possiede più di due telefoni. Le Poste (sono loro che fanno stampare ed emettono i francobolli), dopo aver cercato di mantenere ed attrarre i collezionisti approfittando delle più svariate occasioni e dei più strani pretesti con francobolli di tutti i tipi e fogge (non solo quadrati, triangolari, rotondi, a forma di banana o di pera, al sapore di cioccolata o di fragola, di legno, di cotone o seta, luminescenti o cangianti, perfino personalizzati) , dopo aver inondato il mercato, provocandone quasi l’annegamento, ora le stesse società postali cercano di spostare le proprie attività su altri settori, come quello bancario ed assicurativo.

Ora che di lettere ne riceviamo molto meno, quelle che hanno il francobollo, meglio un bel francobollo, attraggono maggiormente la nostra attenzione. Ci inducono a non trascurarle ed a leggerne il contenuto. Così facendo replichiamo, inconsapevolmente, quello che si è verificato nel collezionismo filatelico.

La pletora di novità e di nuove emissioni a getto continuo hanno stancato il collezionista, l’hanno portato all’assuefazione, gli hanno tolto gli stimoli, l’hanno indotto a trascurare i francobolli. Solo quelli moderni però!

Il piacere di cercare e di avere un francobollo od una lettera antica è, per fortuna, rimasto ed accanto a questo collezionismo a carattere antiquariale ne è cresciuto uno più intelligente, che aggiunge alle lettere valore storico, culturale, sociale. Ha preso piede quella che vien chiamata Storia Postale, che non si limita (e che non ha neanche bisogno) del francobollo, ma che guarda alla lettera nel suo complesso (data, provenienza, destinazione, percorso, tariffe ed anche indirizzo e testo) per studiarla, esaminarla, inquadrarla ed inserirla nel suo contesto storico, sociale ed economico.

Se gli studiosi di archivi hanno, giustamente, rivolto principalmente la loro attenzione a personaggi importanti tenendo conto prevalentemente del contenuto delle lettere e valorizzando quanto scrittovi, quelli di Storia della Posta e delle Comunicazioni cercano anche di spiegare come, per quali vie, con quali mezzi hanno viaggiato, focalizzando l’attenzione anche sull’ambiente sociale e culturale.

Ritorna quindi in auge la ricerca delle lettere “vecchie”. Chi non ha mai pensato, sognato, di trovare sul fondo di un vecchio armadio od in un baule in soffitta le polverose, fragili lettere di un suo antenato del Risorgimento o del bisnonno che ha fatto la Grande Guerra o del nonno combattente la Seconda Guerra Mondiale? 

Oppure le testimonianze molto meno belliche, ma molto appassionate, di chi, tanti anni fa, cercava con una lettera di trovare, dimostrare, conquistare un amore?

Ora tutto questo, nella maggior parte dei casi comunissimo per un estraneo, ma  preziosissimo per noi, può rivelarsi anche raro od interessante se visto sotto questa nuova luce. Certo, diversamente da quelle precedenti, nelle lettere dei periodi bellici del 1900, non aspettatevi di trovare racconti di guerra o di particolari situazioni politiche. Noterete invece certi timbri, certe scritte, certe etichette o fascette incollate che testimoniano come da allora la censura sia stata meticolosamente applicata. Ciò ha indotto perfino un po’ tutti ad autocensurarsi per evitare che si potessero diffondere notizie od informazioni che potessero favorire il nemico o nuocere al “fronte interno”.

In periodi meno tragici, però, generalmente solo fino al 1950/60, troverete lettere dove si raccontano, descrivono, commentano, situazioni personali o familiari e si esprimono sentimenti ed opinioni. Troverete anche cartoline postali e tante cartoline illustrate a dimostrare un viaggio, una vacanza, un ricordo.

Tutto questo se per qualcuno coi capelli bianchi potrà essere un tuffo (spesso piacevole) nel mare dei ricordi, per qualcun altro più giovane potrà essere un inimmaginabile, affascinante prato dove poter trovare, cercare e scegliere le “erbe” migliori per poter curare la propria sete di curiosità, conoscenza, sapere non convenzionale.

Dei nostri giorni non troverete più nulla. Dei “messaggini”, delle email o scambi internet, delle telefonate, cosa resta?

Forse quello che qualcuno, di nascosto, violando criminosamente la nostra privacy, ha carpito (e conservato) da una nostra conversazione con chi credevano (e forse anche lo è o lo era) una persona onesta? Ma allora, quello che hanno deriso perché per comunicare si serviva dei “pizzini” non era poi così stupido come si voleva far credere!

Certo, se non fossero “corpi di reato”, qualcuno di quei fogliettini scampati alla distruzione, lo metterei volentieri in collezione. Sono certamente interessanti, rari documenti della Storia della Posta e delle Comunicazioni.

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Gen 4, 2019 | Posted by in Articoli | Commenti disabilitati su La posta tra cronaca, storia e società 
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