Erinnofilia…  tranquilli non è un virus!

(GDB) Col termine “erinnofilia” viene indicato lo studio e la collezione di marche o vignette chiudilettera,   senza valore postale,  comunemente  chiamate anche  “etichette” o “francobolli chiudilettera”, emessi da privati o Enti pubblici  in occasione di avvenimenti, manifestazioni o ricorrenze di vario genere oppure a fini propagandistici, o ancora con l’intento di raccogliere fondi a fini sociali o benefici.  

Diciamo subito che il termine “francobollo chiudilettera” è riferito alla forma dell’oggetto e non alla sua valenza giuridica. Infatti il chiudilettera, a differenza del francobollo, non è un “valore” emesso da uno Stato o da un’azienda postale licenziataria e quindi non serve ad “affrancare” ovvero assolvere al pagamento della tassa postale dovuta.

Infatti l’erinnofilo, anche se talvolta  riporta stampato un “valore nominale”,  non può assolvere (tranne in qualche raro caso come vedremo) la funzione specifica attribuita al francobollo ovvero quella di rappresentare il pagamento del corrispettivo di un servizio richiesto. Il “valore” attribuito ad alcuni tipi di chiudilettera corrisponde al suo “prezzo” in genere devoluto all’Ente emittente la marca per scopi sociali o benefici (es. chiudilettera antitubercolari).

Se vogliamo ricercare l’origine dei sigilli “chiudilettera” in quanto tali, nella loro funzione di attestazione della provenienza di un documento, dobbiamo risalire ad epoche remote: già nell’antico Egitto venivano utilizzati sigilli per l’ufficializzazione degli atti, così come negli antichi imperi cinesi.

Risulta comunque evidente che spesso, l’apposizione del sigillo assolveva ad una duplice funzione, quella di attestare la provenienza (e quindi l’autenticità) dell’atto  o del messaggio, ma anche quello di sigillare (chiudere e rendere inviolabile) il documento, in genere arrotolato, perché fosse impedita la lettura da parte di terzi e perché il sigillo attestasse inoltre  l’integrità del documento, ovvero la sua genuinità e la certezza della sua non alterazione, fino a quando i sigilli stessi non sarebbero stati rotti dal destinatario.

Fu la ceralacca ad assolvere per lungo tempo questa funzione, e su questo materiale opportunamente liquefatto col calore, venivano impresse le iniziali o comunque i simboli del mittente (o autore), che rimanevano scolpiti a seguito dell’immediata consolidazione della ceralacca.

Il legame tra sigilli “chiudilettera” e la trasmissione della comunicazione è un fatto storico e sociale che attraversa tutto il Medioevo per arrivare all’età moderna, sostanzialmente immutato nella forma e nella funzione.

Verso la fine del XVII Secolo, in molti Paesi europei, si riscontra sulle missive l’uso di grossi sigilli di carta; in Italia le lettere con questi grossi supporti sagomati, sono dette volgarmente lettere “viceregie”, queste venivano munite di un grosso sigillo di carta con stampa a secco, incollato con un’ostietta realizzata  in materiale naturale adesivo (colla di pesce etc.).

Si tenga conto che fino al 1860 circa, la corrispondenza non veniva imbustata ma “compiegata”, ovvero l’unico foglio, in genere doppio, veniva ripiegato in tre e così spedito.

Sussistono lettere viceregie in cui il sigillo è posto anteriormente e non serve a suggellare i lembi del piego, mentre in altri casi esso assolve proprio la funzione di precursore del chiudilettera, tenendo uniti i lembi posteriori del piego.

Anche nelle corrispondenze dei privati, invalse l’uso delle ostiette per sigillare le missive e talvolta in corrispondenza di esse veniva impresso a secco, sulla carta compiegata, il simbolo o le iniziali del mittente.

L’uso di pasticche adesive per suggellare i pieghi delle corrispondenze, si protrasse nel tempo e nella prima metà dell’Ottocento, comparvero i primi piccoli suggelli adesivi, sui quali venivano stampate, in genere, le iniziali o lo stemma nobiliare del mittente.

I chiudilettera, nella forma che noi conosciamo, compaiono sulla scena “postale e della comunicazione” attorno alla metà dell’Ottocento:  Il più antico chiudilettera ad oggi conosciuto risale al 1845 e venne stampato in occasione dell’Esposizione internazionale di Vienna.  Da allora questi piccoli suggelli, si sono evoluti velocemente verso le forme tipiche del francobollo postale, tanto da ripeterne quasi tutte le caratteristiche tecniche:  carta , stampa,  gomma e dentellatura.

Con il passare del tempo e seguendo l’evoluzione sociale, l’erinnofilo ha perso la sua funzione di sigillo di sicurezza e di garanzia dell’integrità dell’oggetto postale, per assumere la veste di mezzo “di comunicazione”, di pubblicità o di personalizzazione della corrispondenza se non proprio quella ornamentale. Talvolta tutti questi aspetti sono presenti, come nei chiudilettera prodotti dalle ditte commerciali.

Questo oggetto cartaceo ebbe un largo utilizzo, nel Novecento, quale mezzo per la raccolta di fondi a favore di Enti pubblici o privati con scopi sociali e benefici, ricordavamo prima i famosi  chiudilettera “antitubercolari” emessi con cadenza annuale.

Nella prima metà del Novecento l’uso dei chiudilettera raggiunge la sua massima espansione “socio-culturale” e quindi collezionistica. In Italia la prima Associazione di cultori dell’erinnofilia fu fondata a Milano nel 1926 anno in cui si tenne la prima mostra “nazionale” di chiudilettera.

Dagli anni 70’ del Novecento, si assiste ad una costante diminuzione dell’utilizzo di questo piccolo messaggero, la cui produzione e diffusione oggi è sostanzialmente un fatto legato esclusivamente al collezionismo, avendo perduto il suo carattere di oggetto si uso “sociale”.

 

Paradossalmente, gli erinnofili, che dal tedesco riecheggiano nel nome il termine “ricordo” ovvero erinnerung, sono stati per lungo tempo … dimenticati, anche se ad onor del vero il Poligrafico dello Stato italiano ha continuato a produrre una sequenza di foglietti ricordo erinnofili, molto interessanti e graficamente ben realizzati. A proposito di nomi, negli Stati uniti d’America e in molti altri Paesi, i chiudilettera sono comunemente chiamati col curioso termine “cinderella”.

In questi ultimi anni alcuni studiosi, sulla scia della rivalutazione della obiettiva storicità di alcuni oggetti, sia pure socialmente desueti, hanno realizzato approfondite ricerche e studi che hanno esitato la pubblicazione di alcuni cataloghi di grande interesse storico ed artistico. Rimando gli interessati al Web, dove questi lavori sono facilmente reperibili, sia per quanto riguarda i cataloghi, sia per notizie sull’associazionismo tra i cultori dell’erinnofilia.

L’erinnofilia  è sempre stata ingiustamente trascurata dai filatelisti, considerata come una “sorellastra” minore della filatelia ortodossa. Questo settore del collezionismo non ha avuto un seguito di massa, come accaduto per la filatelia, ed i due comparti hanno “dialogato” poco.

Da un punto di vista storico appare corretto sostenere che gli erinnofili cartacei sono gli epigoni dei sigilli in senso lato e di quelli in ceralacca, che comunque continuano ancora oggi ad essere utilizzati per esempio per le corrispondenze assicurate poiché danno maggiore garanzia contro eventuali manomissioni delle buste. Infatti, mentre una marca cartacea può essere rimossa e ricollocata, nascondendo una manomissione, un sigillo in ceralacca con inciso un simbolo in possesso solo del mittente, e a questo scopo personalizzato, non può essere facilmente riprodotto e la sua manomissione diventa subito evidente.

Come già evidenziato in altre occasioni, ritengo che le collezioni filateliche possono essere integrate ed arricchite con altri documenti cartacei, legati in qualche modo all’oggetto postale ed alla sua vicenda, o comunque utilizzati nell’ambito della trasmissione di notizie o di immagini attraverso il servizio postale.

In una collezione di filatelia tradizionale o di storia postale, possano trovare spazio oggetti diversi dai francobolli e dalle buste, utili ad illustrare compiutamente il tema della raccolta.

Per le collezioni che andranno a concorso, secondo gli attuali regolamenti della  FSFI, Federazione fra le Società filateliche italiane, l’uso dovrà essere minimo e relativo ad oggetti “indispensabili”,  tranne che per la sezione “OPEN”, mentre per le collezioni di carattere strettamente personale si può allargare il campo dei materiali utilizzati a piacimento.

 

Non ha nulla di incongruo inserire l’erinnofilo che vediamo in foto, emesso negli Stati Uniti nel 1959, in una collezione sui servizi postali a cavallo:  la vignetta  recita “1859 – il più romantico e rapido mezzo di trasporto americano: pony express e Wells Fargo”.

Infine ricordiamo che eccezionalmente alcuni erinnofili, anche in Italia, hanno avuto corso postale. Noto il caso della visita di Mussolini  a Livorno l’11 Maggio del 1930. L’erinnofilo predisposto con valore facciale di cent. 30 a favore del Comitato Provinciale Balilla, recante l’immagine del volto di Mussolini, su disposizione della Direzione postale di Livorno, venne considerato, per quel giorno, valido per l’affrancatura.

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Set 21, 2020 | Posted by in Articoli | Commenti disabilitati su Erinnofilia…  tranquilli non è un virus!
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