Brevi cenni sulla posta nel periodo arcaico e durante l’Impero romano

 

(Giuseppe Di Bella) La comunicazione con i propri simili è necessaria all’uomo a tal punto che questa funzione di relazione è indispensabile ed inscindibile dalla sua stessa esistenza: è certamente un fatto biologico scolpito nel D.N.A. di ognuno di noi.

Lo scambio di informazioni di ogni genere è connaturato allo stile di vita consociativo degli esseri umani, quindi funzionale ai sistemi sociali e agli schemi organizzativi da essi realizzati in ogni tempo.

La comunicazione è parte dell’esistenza e può essere immediata come nel dialogo, ovvero a distanza allorquando sussiste la necessità di trasmettere il proprio pensiero a persone non presenti.

Questa esigenza è rappresentata già nella mitologia greca e latina ove è presente la figura di Ermes o Mercurio, messaggero degli dei, raffigurato con le ali ai piedi e talvolta con un cappello conico fornito di piccole ali.

Nella Bibbia riscontriamo prima la narrazione della comunicazione diretta tra Dio, Adamo ed Eva e successivamente quella tra Dio e il popolo di Israele in modo diretto o per il tramite di profeti. Nei Vangeli riconosciamo chiaramente in Gesù Cristo un modello originale di comunicatore.Ancora nella Bibbia, vi sono precisi riferimenti ai sistemi di comunicazione scritta degli Ittiti e degli Assiro-Babilonesi. Queste civiltà realizzavano le loro missive con incisioni su tavolette d’argilla. Il messaggio veniva impresso sulla tavoletta d’argilla fresca, questa era sottoposta a cottura e talvolta rifoderata con un altro strato d’argilla sul quale veniva inciso il nome del destinatario. Una ulteriore cottura consolidava l’involucro, una sorta di precursore della moderna busta: la presenza del vapore acqueo prodottosi durante la cottura lo rendeva indipendente dalla tavoletta su cui era stato inciso il messaggio.

Presso il museo parigino del Louvre, si conserva una di queste “lettere” completa di “busta”, risalente alla prima dinastia babilonese.

Iscrizioni tombali e geroglifici hanno rivelato l’esistenza di un sistema organizzato di comunicazioni “postali” nell’antico Egitto, verosimilmente fin dal XIII secolo prima dell’Avvento di Cristo (periodo del Nuovo Regno).

Le Dinastie faraoniche avevano la preminente necessità di far giungere ordini e disposizioni fino ai confini del loro vastissimo impero, i messaggi scritti erano il mezzo più preciso ed efficace, anche se sappiamo che in quella civiltà la scrittura e quindi la lettura erano monopolio della casta degli scribi. Dobbiamo dunque ritenere che il messaggio venisse dettato dal mittente ad uno scriba e giunto a destinazione fosse letto al destinatario da un altro scriba.

Le risultanze storiche evidenziano come la necessità di comunicare in forma scritta e quindi di realizzare un sistema stabile di comunicazioni, sia stata sentita in un primo momento dal potere politico, amministrativo e militare: infatti almeno fino al XVII Secolo la posta circolante era quasi esclusivamente di carattere pubblico ed il servizio era strumentale al raggiungimento di fini Statali.

Solo a partire dal XVIII Secolo diverrà significativo il volume della posta privata e commerciale circolante.

Compresa l’importanza strategica e fiscale del monopolio delle comunicazioni postali, che è stato per secoli un potente mezzo di controllo politico e sociale, quasi tutti i Paesi riservarono allo Stato l’esercizio delle comunicazioni, talvolta in modo diretto, altre volte appaltandolo a soggetti privati.

Sicuramente nell’antichità i messaggi sia civili che soprattutto militari, sono stati affidati alla memoria del corriere; ma i limiti di questo sistema sono facilmente intuibili. Infatti ciò che veniva riferito verbalmente si prestava ad errori e interpretazioni, talvolta di comodo e non sarà stato raro il caso in cui il messaggero non abbia saputo riferire correttamente quanto affidato alla memoria, che sappiamo essere talvolta molto labile, con conseguenze disastrose.

Nel “Milione“ di Marco Polo si trova una dettagliata descrizione dell’organizzazione delle poste nell’impero cinese. Era stata predisposta una rete molto fitta di posti di cambio per i cavalli e per i corrieri, che riuscivano così a coprire in un sol giorno, anche 250 miglia: i corrieri erano autorizzati a catturare con un “lazo” i cavalli per il cambio, prelevandoli da mandrie incontrate lungo il cammino.

Il grande scrittore greco dell’antichità Erodoto, primo artefice della storia scritta, descrisse dettagliatamente l’articolatissimo servizio postale dell’Impero Persiano, dotato di ben 111 stazioni di posta lungo i vari cammini.

Prima Ciro il grande e poi Dario e Serse, diedero grande impulso e rinomanza a questo servizio, detto delle “Angarie”, ritenuto a ragione elemento essenziale per la coesione dell’impero.

Nell’antica Grecia, a causa della frammentazione geopolitica del potere, detenuto dalle singole Polis, non si trova traccia di un servizio postale unitario. Ogni Città – Stato provvedeva alle necessità contingenti con messaggeri propri incaricati di volta in volta. Questi venivano detti “grammatofori“ o “hemerodromi”.

Tra i primi messaggeri di cui storicamente si conosce il nome vi è il greco Filippide, incaricato di portare ad Atene la notizia della vittoria ottenuta nella battaglia di Maratona contro l’impero Persiano (490 A.C.). Egli è rimasto anche il più famoso dei messaggeri, infatti a causa del sacrificio che gli costò la vita, per aver percorso a piedi oltre 230 km in due giorni, viene ricordato ancora oggi con la corsa detta “Maratona”, la cui lunghezza è appunto pari alla distanza tra Atene e i luoghi della battaglia.

Nell’Impero romano il primo servizio di posta regolare e stabile venne istituito dall’imperatore Augusto.

L’Impero era all’apice della sua espansione geografica, militare e politica ed era necessario far giungere le direttive fin nelle Provincie più remote. Per questi motivi venne istituito il “Cursus publicus”, che invero di pubblico aveva solo il nome poiché il suo utilizzo era riservato allo “Stato” e comunque agli alti dignitari politici e militari. I cittadini ne sostenevano i costi ma non usufruivano del servizio.

Il documento fondamentale per la conoscenza dell’organizzazione del cursus publicus, è senza dubbio il codice Teodosiano che raccoglie le leggi e gli editti degli imperatori del II, III e IV Secolo.

Ulteriori e particolari notizie circa lo svolgimento del servizio, ci vengono conferite da una monumentale opera scritta in latino e pubblicata nel 1665 a Lione da Iacobus Gothofredus.

Sappiamo che la supervisione del funzionamento era affidata ai Prefetti, ma venivano coinvolti anche i poteri locali.

Il servizio era organizzato in modo sovrapposto alla vastissima rete stradale militare e civile che si dipartiva da Roma, dove nel foro il suo centro e punto d’origine era segnato dal famoso “milliarium aureum”, una colonna di marmo rivestita di bronzo di cui ancora oggi rimane conservata parte della base. Le strade principali, dette consolari, si diramavano in 372 cammini maestri per un totale di 53.000 miglia. Queste strade costituivano l’asse portante delle comunicazioni civili, militari e commerciali tra Roma ed il suo sterminato impero, ma anche oltre poiché consentivano anche le comunicazioni con le Civiltà del medio e del lontano Oriente.

I collegamenti erano assicurati fino in Portogallo, al Reno, al Danubio, alla Scozia, ai Carpazi, al Marocco, all’alto Nilo, al Mar Nero e alla penisola Arabica.

Una dettagliata descrizione si ritrova nella “Tabula Peutingeriana” che è la copia in pergamena di una carta geografica dell’impero romano, risalente al IV Secolo dopo Cristo, ove erano evidenziate le antiche strade dalla Britannia fino all’attuale territorio dell’India.

Alcuni fonti (Svetonio) hanno evidenziato che in una prima fase il servizio, che dobbiamo supporre limitato, si è svolto per il tramite di pedoni. Successivamente elemento fondamentale del “Cursus publicus” diventò il trasporto a mezzo di cavalli e carri, assunsero quindi importanza strategica le stazioni di cambio: in genere stamberghe ove i messaggeri potevano riposare, consegnarsi il corriere e rifocillare o cambiare i cavalli.

Da calcoli eseguiti su circostanze storiche, è stato stabilito che si arrivò a coprire il percorso tra Roma e la Britannia in soli 25 giorni.

Le stazioni erano chiamate “mansio” o “mutatio posita”, letteralmente posti di cambio: nel tempo si trasformò la voce in sostantivo e volgarizzandola venne mutata in “posta” per elisione della “i”. Questo termine divenne poi sinonimo del servizio postale stesso.

Altre fonti riferiscono che più tardi il “Cursus” venne diviso in due settori: il primo a cavallo per le missive, detto “cursus velox”, e un secondo effettuato con carri per il trasporto dei plichi pesanti, in senso moderno diremo dei pacchi, questo aveva il nome di “cursus clabularius” proprio perché effettuato con carri trainati da cavalli o da buoi.

Come abbiamo visto il Cursus era riservato al servizio dello Stato. Alcune fonti evidenziano che Plinio il giovane abusò per fini privati del Cursus affidando ad esso una sua missiva personale e pertanto venne costretto a scusarsi pubblicamente.

Negli scritti dello storico Elio Spartiano si fa cenno ad un “Cursus fiscalis” e ciò sembra testimoniare che ai tempi dell’imperatore Diocleziano esistesse un servizio postale a pagamento. ma le frammentarie notizie a disposizione non autorizzano a dare il fatto per certo.

Quando l’impero romano venne travolto dalle orde barbariche, il “Cursus” venne disarticolato a causa dei conseguenti sconvolgimenti: la sua definitiva distruzione è databile intorno al VII Secolo D.C.

La memoria del Cursus publicus rimase per secoli nel linguaggio comune e il termine Cursus, poi italianizzato in “Corso”, si riscontra ancora in Sicilia nei documenti postali del XIX secolo dove la dicitura “Regio corso” indica il servizio postale, e “Ufficiale del Regio Corso” indica gli ufficiali postali addetti alle “Officine di posta” del Regno delle due Sicilie.

 

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Gen 5, 2023 | Posted by in Articoli | Commenti disabilitati su Brevi cenni sulla posta nel periodo arcaico e durante l’Impero romano
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